Ci son cose che ti vengono semplici, facili, automatiche.
Farti un bidet dopo aver fatto la pupù.
Scolare la pasta al dente, che quel minuto in più significa colla e avanzi nel tegame.
Sbavarti lo smalto, almento su un'unghia. E nella remota possibilità di stenderlo bene su tutte e 10, sicuro come la morte ti si scheggia dopo 2 ore.
Soffiarti il naso al primo accenno di muco sbiado e scivoloso.
Lavarti ogni giorno. Constatando poi come questa sia un'usanza temuta e rifiutata da una puzzosissima percentuale di persone.
Incazzarti e mugugnare le peggio cose digrignando denti e pestando piedi quando testimoni di geova o telepromoter ti svegliano alle 8 di mattina. O alle 3 di pomeriggio.
Poi ci son cose ancora più semplici, ancora più perfette, ancora più incredibili nel loro equilibrio timido e coraggioso.
Amare. Amare incondizionatamente. Amare così tanto che ti scordi di com'eri prima. Amare talmente una persona che ti disorienti e ti spaventi e ti senti felice come solo la mattina di Natale di 20 anni fa ti sentivi.
Scoprire che la felicità è fatta di piccoli gesti, di poche parole, di semplici emozioni. Scoprire di non poterne più farne a meno.
mercoledì 22 agosto 2012
giovedì 9 agosto 2012
È buffo come certe immagini, certi odori, certi sapori, ti si incollino dentro e non se ne vadano più.
Lì, sospesi, tra sangue e nostalgia impastata a ricordi.
Era tutto come l'avevo lasciato.
L'odore di muffin al lampone caldi, di aria schiacciata dalle vetrate laccate di bianco, di metallo arrugginito a Charing X.
Le nuvole a mezza via, dense di fumo e filtranti sole e vento pungente, pitturate di cobalto e antracite e glicine la sera.
Il sapore di fragole, ricotta e burro che ti si scioglie in bocca, un caffè morbido e timido a lavarlo via, l'aroma di zucchero filato e curry che ti seguono, il cioccolato che ti avvolge.
E poi loro, per cui non bastano le parole, per cui spero che domani ci sia sempre il sole e un sorriso vero e una felicità ridicola.
Loro, la famiglia che vive aldilà delle Alpi, dopo quel braccio d'acqua, su quell'isola verde, in quella città caotica e disarmante e manierosa e instancabile che nemmeno un'intera scala Pantone basta a colorarla tutta.
Casa.
Lì, sospesi, tra sangue e nostalgia impastata a ricordi.
Era tutto come l'avevo lasciato.
L'odore di muffin al lampone caldi, di aria schiacciata dalle vetrate laccate di bianco, di metallo arrugginito a Charing X.
Le nuvole a mezza via, dense di fumo e filtranti sole e vento pungente, pitturate di cobalto e antracite e glicine la sera.
Il sapore di fragole, ricotta e burro che ti si scioglie in bocca, un caffè morbido e timido a lavarlo via, l'aroma di zucchero filato e curry che ti seguono, il cioccolato che ti avvolge.
E poi loro, per cui non bastano le parole, per cui spero che domani ci sia sempre il sole e un sorriso vero e una felicità ridicola.
Loro, la famiglia che vive aldilà delle Alpi, dopo quel braccio d'acqua, su quell'isola verde, in quella città caotica e disarmante e manierosa e instancabile che nemmeno un'intera scala Pantone basta a colorarla tutta.
Casa.
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