Vorrei essere capace di fissare su carta, con china blu, questa rabbia proterva, questo disarmante senso di vuoto. Niente foglio e niente penna.
Scrivo a me, alla me allo specchio, alla me instancabile e cocciuta che continua a cercare quello che non c'è.
Scrivo a te,
mamma. Un suono caldo e avvolgente, stride così tanto con la te che conosco io.
Tu.
Tu, che 26 anni fa mi hai tenuta stretta a te, in te, con te.
Tu.
Pelle segnata da giorni e rinunce, occhi severi e scuri, lontani, occhi che non sorridono. Occhi che non vedono, si limitano a guardare.
Labbra sottili, mai un filo di trucco, così naturali e così inamovibili, che a vederle distese temo si possano sbriciolare come intonaco vecchio.
Un viso algido, fermo, composto. Una tela in bianco e nero, nessuna didascalia.
Braccia incapaci di cercare, stringere e rassicurare, geneticamente predisposte, emotivamente frenate.
Una madre che mi ha voluto e vuole bene, una madre che non è mai stata capace di dimostrarlo.
E io a scorticarmi le unghie, aggrappandomi alla speranza che un giorno avrebbe potuto esser diverso.
A cercare una te diversa. E una me più simile a te.
A sperare di sentire parole calde e confortevoli, quelle che ti accarezzano il cuore e ti tirano sù la coperta delle sicurezze.
A chiedermi perchè.
A cercare di chiudere gli occhi e girarmi.
Ma nulla è cambiato. Nulla.
Deja-vù continui.
Amnesie anelate.
E nulla è cambiato.
"Mai una volta, una, una soltanto, che mi sia sentita supportata o approvata, mai. Mai un 'brava', un 'hai fatto bene', un 'continua così'. Mai. 26 anni e nemmeno una volta, una. Ti sembra possibile? Se non è così avanti, citamene solo una, una, in cui mi abbiate sostenuta, in cui mi abbiate approvata, in cui vi siate sentiti orgogliosi."
"Non mi viene in mente"
"Non ti viene in mente?!"
"Forse non c'è mai stata".