lunedì 22 novembre 2010

Ricordo troppo giovane per Casa memoria

Questa mattina, bloccata nel sordo brusio di scatole di latta a motore, guardavo fuori. 
Finestrini sporchi, più in là di voi. 
Più in là, oltre pneumatici rigati e stanchi, oltre sbadigli annoiati e sterili, oltre il lunedì mattina. 
Più in là. 
E cercavo nel plumbeo risveglio della nebbia modenese un qualcosa a cui appigliarmi. Qualsiasi cosa che mi facesse piegare gli angoli all'insù per il semplice fatto di esserci, di essere lì. 
bbbzzz---zzzzz-----bzzzzz---- . Le connessioni saranno ripristinate al più presto. bbzz---zzzz----- .
E allora ho chiuso gli occhi. Metaforicamente si intenda, che di violare il posteriore di una florida Agila verde ramarro, non me la sentivo. Che poi rischiavo la detenzione per atti osceni in luogo pubblico. 
Occhi chiusi, palpebre spalancate. 
Eccola, eccola lì. La mia dimensione. 
Ti tocco. Ti assaporo tra le labbra, con la dolce consapevolezza che solo l'abitudine di un gusto familiare sa dare. Mi sali nelle narici facendomi pizzicare gli occhi. Tu, mia dimensione. Comoda e calda come quegli abbracci che ti fanno sentire più che avvolto, ti fanno sentire dentro.
Microsfere emozionali.

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